Dati Istat: dov’ è la Sardegna?

Turismi tra sordi

“Che lingua parli tu?” Serve un Giovanotti d’annata per introdurre un tema sempre più pressante, ma ancora non abbastanza compreso a fondo.
Il linguaggio: il link cioè tra turista e struttura ricettiva. Tra cliente e operatore turistico. Tra destinazione e mercati.
E naturalmente non parliamo solo di lingua. Non si tratta solo di Inglese, Tedesco, Francese o Spagnolo. Certo, anche su quei fronti ci sarebbe molto da lavorare  per ridurre il deficit di comunicazione, ma il gap comunicativo è ben più ampio.

Il turista è cambiato. Pensa a cose diverse, prodotti turistici più evoluti.

Meno banali e più esperienziali. Molto mare, ancora, ma non solo ed esclusivamente mare.
Noi invece siamo innamorati del nostro potente mono-prodotto, della nostra presunta unicità, cioè usiamo un registro comunicativo che enfatizza le risorse naturali e ambientali come fossero un patrimonio realmente unico e davvero del tutto incontaminato.
E’ la sindrome autoreferenziale detta della “presunzione del più”: il mare più bello, l’acqua più limpida, le spiagge più pulite, la natura più vera, la cultura più autentica…
  
I turisti, i pochi che riusciamo a intercettare nello scenario internazionale, ovviamente non disdegnano queste ghiotte attrattività della nostra isola, ma per loro non sono sempre sufficienti per determinare una scelta a nostro favore.
Anche a causa di un pricing che nel rapporto tra qualità della risorsa ambientale-qualità del prodotto servizio associato,  spesso è ingiustificato se non imbarazzante, per la talvolta vetustà delle infrastrutture e in molti casi per la scarsa professionalità della front line.
 
Sarà forse perché il concetto di unicità è tra i più abusati nel panorama delle destinazioni turistiche o sarà perché le nostre strategie di comunicazione mancano di un progetto strategico che offra continuità e contenuti, comunque sia, non si riesce a determinare un posizionamento convincente e  adeguato alle aspettative.
Del resto, sui mercati del mediterraneo e anche oltre, tutti sono – a loro dire – unici, o cercano di vendere unicità.
Ma così facendo, agli occhi del turista il concetto diventa immediatamente piatto, liso, abusato, vano, sostanzialmente inutile,  generando il pericoloso effetto de “al lupo al lupo”.
Con il risultato che nella testa del potenziale visitatore si forma la percezione che nessuno è unico.

Il nostro agognato turista allora che fa?
Si rivolge al moderno oracolo di Delfi, che al giorno d’oggi si chiama Google (lo fa l’85%, sulla base delle ultime ricerche) e  navigando allegramente per farsi un idea della sua prossima vacanza, trova naturalmente le medesime parole chiave per Liguria, Puglie, Sicilia, Toscana, persino Bibione, per stare in Italia.
Poi, visto che Google non ha confini geografici, ecco anche le immagini stupende delle Baleari fuori stagione, delle Canarie dove è sempre estate, ma anche della Grecia, o della Corsica, Turchia, Croazia, insieme alle destinazioni più lontane e più esotiche di Seychelles, Caraibi, ecc.. 

Insomma, ci troviamo immersi in uno scenario competitivo piuttosto agguerrito e complesso, dentro “scaffali turistici” di commercializzazione affollatissimi, che vendono prodotti del tutto sovrapponibili ai nostri, attraverso politiche di destination management di lunga data, spesso più efficaci, continue e strutturate delle nostre.

Se come dice Chomsky l’arrivo del linguaggio è stato rivoluzionario ed epocale nella nostra storia evolutiva, la padronanza del linguaggio (turistico) giusto è la chiave per avviare dialoghi efficaci ed efficienti, cioè che possano attivare relazioni e scambi turistici-culturali che garantiscano ritorni positivi e duraturi.

Il linguaggio del turismo, senza dubbio oggi è digitale: passa da Internet, dal world wide web e dalle piattaforme mobile, che sono sempre più le nuove autostrade della comunicazione.

Il secondo elemento chiave, complementare a quello del linguaggio è culturale: non possiamo dialogare se non comprendiamo cosa desiderano, cosa sognano, cosa si aspettano, cioè  quali sono le motivazioni primarie del viaggio.

Se non ci sforziamo di capire bene questo secondo passaggio diventa impossibile afferrare perché le Baleari ci surclassino, o perché la tanto disprezzata dal punto di vista ambientale e naturalistico riviera adriatica – da Venezia a Rimini – abbia un potere attrattivo enormemente più forte del nostro.
A ben vedere, neppure restando solo in Italia e restringendo il campo sul campo del marino-balneare – il nostro cavallo di battaglia – siamo i leader.
I turisti spesso preferiscono altre destinazioni.
Perché?
Prescindendo dalla 4 città d’arte che guidano la classifica delle presenze, le località di Rimini e quello di Cavallino-Treporti (in Veneto) con oltre 13,6 milioni (dato Istat 2017), sono le prime due località del turismo balneare in Italia; da sole fanno quasi le presenze dell’intera Sardegna circa 15 mil, dato  Sired 2018.
Il primo Comune della classifica in Sardegna (nonché unico nei top 50) è Arzachena, al 46° posto.

E non possiamo liquidare semplicemente la questione dicendo che quello non è mare?

Il vero problema purtroppo è che parliamo linguaggi turistici abbastanza datati, che in parte non vengono sentiti, capiti, accettati, condivisi.
Gap comunicativi profondi che non si è ancora capito se non vogliamo o non riusciamo a colmare.
Linguaggi differenti, dissonanti, fatti su piani non comunicanti e su media spesso sbagliati.
Insomma un vero e proprio dialogo turistico tra sordi.
Per chiuderla ancora con Jovanotti: “Siamo andati al mare e mi parlavi di montagna, abbiamo preso una casa in città e sogni la campagna”.

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