Alla ricerca di qualcosa: partire per poi ritornare

Estratto dell’ intervento  per il Sardinia JOB DAY del 25 gennaio 2019.
Oltre al sottoscritto, per Sardegna2050, all’evento era presente come relatore anche il nostro Nicola Pirina
.

Poco più di 100 anni fa da un piccolo centro di circa 7.000 abitanti chiamato Nuoro, due giovanotti partivano – letteralmente con la valigia di cartone  – verso il cosiddetto nuovo mondo su una di quelle navi a vapore – i Piroscafi che avevano progressivamente sostituito i velieri –  diventate famose molti anni dopo grazie al film Titanic. 

Quei 2 sardi semi-analfabeti, ricchi solo di un mix di entusiasmo, curiosità e disperazione, pur  non conoscendo una sola parola di inglese, presero il mare. Erano miei nonni, che dopo diversi anni tra Stati Uniti e Argentina, scelsero poi,  a differenza di molti altri, di tornare indietro.

Partirono dando fondo a tutti i risparmi in loro possesso,  con enormi disagi e grandi rinunce, affrontando un viaggio lunghissimo che in certi casi poteva durare quasi 30 giorni, rigorosamente in terza classe. Il viaggio low cost origina lì, dai quei flussi migratori squattrinati. Si conta che all’inizio del’ 900 (sino al 1915) circa 90.000 persone lasciarono la Sardegna, su una popolazione di circa 800.000 abitanti. Stremati da prolungate stagioni  siccitose e dalla terribile afta epizootica, che minarono anche le attività pastorali di base, circa un giovane maschio sardo  su tre fu costretto ad emigrare, considerando la forza lavoro attiva del tempo. Va ricordato che nel 1910 la media di anni di istruzione/abitante  erano: 

  • U.S.A. 7,5, 
  • Germania 7,  
  • Italia 3, 
  • Sardegna 1,6. 


A ben vedere non si trattava di una  fuga di cervelli ma di braccia: una fuga dalla povertà e dal sottosviluppo, verso un futuro idealizzato, verso opportunità vagheggiate.
Gli Italiani, gli irlandesi, gli emigrati in genere, parlavano lingue incomprensibili e vivevano in comunità poco integrate;  erano gli ultimi del mondo: spesso sporchi, poveri e ignoranti e quando il fenomeno migratorio diventò sempre più grosso, vennero ammassati ad Ellis Island e posti in quarantena, come adesso noi facciamo con gli africani negli HotSpot, ex Sprar, ex CPSA, ex C.P.T..

E’ tipico di noi umani guardare oltre mare per cercare di capire cosa diavolo c’è al di là. La stessa Grazia Deledda prese la sua “corriera” e poi il traghetto dal piccolo borgo  Nuorese, quasi fuggendo da quel posto selvaggio ai confini del mondo, che restò però protagonista indiscusso delle sue opere, attraverso un legame indissolubile nei confronti di una terra quasi magica, senza tempo.
La metafora della nave da prendere, è centrale forse per tutti gli isolani. A volte con la chiara determinazione di partire per poi ritornare, altre per fuggire e basta, da qualcosa che è troppo stretto e soffocante.

In tutti i casi, dobbiamo attraversare  il mare per crescere, per dimostrare qualcosa o per cercare delle conferme. L’abbiamo fatto noi alla vostra età e continuerete  a farlo voi.

Una generazione più tardi, nel dopoguerra, mio padre si laureò a Pisa, ed essendo rimasto orfano, fece la traversata e si “incontinentò”, come diceva Grazia Deledda, per cercare una sua dimensione tra Pisa e Roma, grazie a grandi sacrifici suoi e della sorella. Due generazioni più tardi , con condizioni sociali e livello di istruzione enormemente differenti, seppure avessi una laurea in economia conseguita a Cagliari con 110e lode, io feci la stessa traversata con direzione Roma. Presi un puzzolente  traghetto Tirrenia (l’aereo costava troppo), con le stesse inquietudini, le stesse incertezze del confronto con il mondo “continentale”, con le stesse ansie di non farcela, di non essere adeguato.

“Dovevo” fare un master per scacciare le paure e i complessi di inferiorità. Il confronto mi fece capire che non eravamo dei trogloditi e che anche fuori dall’isola potevamo dire la nostra. Mi proposero subito una posizione lavorativa molto ben pagata ad Abu Dhabi, che devo confessare, al tempo, facevo fatica ad identificare geograficamente. Non accettai perché contemporaneamente arrivò un offerta dalla Sardegna che colsi con grande entusiasmo. Era il gruppo dell’Aga Khan, un gruppo internazionale attivo in 3 continenti nel quale lavoro ancora oggi.

Oramai, i piroscafi ci sono solo nei musei e i traghetti sono diventate moderne navi con tutti i comfort. La rete dei collegamenti aerei ci consente a tariffe (quasi sempre) accettabili di essere pienamente cittadini del mondo. A giugno 2018, record di sempre, si sono alzati in volo nel mondo oltre 200.000 voli. Un numero in continua crescita che testimonia quanto le città, le nazioni e i continenti siano sempre più connessi.  

Il viaggio comunque va fatto. E’ un momento formativo e di crescita personale: vanno gestite le ansie, le paure, le angosce ma anche l’incoscienza, la spensieratezza e l’energia che avete con voi.

La  domanda che molti di voi hanno in mente – anche se difficile da formulare in pubblico – e io alla vostra età certamente mi ponevo è: ma la scuola mi serve?  Un quesito notevole al quale mi piace rispondere citando un’intervista di Baricco: “la scuola è una lunga collezione di momenti noiosi e a volte persino inutili, che però contiene al suo interno una dozzina di momenti e di incontri che cambieranno per sempre la vostra vita”.
Credo che la scuola sia esattamente questo. Come oggi è concepita forse non è adeguata ai tempi, probabilmente alcuni  insegnanti non hanno le professionalità e le motivazioni giuste, ma nel complesso è ancora uno strumento fondamentale per la vostra formazione culturale e metodologica. E davvero vi riserverà incontri con persone reali e personaggi della storia, della scienza, della filosofia e della politica, che avranno un ruolo determinante su quello che sarete domani.
A questo punto la seconda domanda ansiogena è sempre: d’accordo, ma  quanto è in grado di prepararmi per il mondo del lavoro di oggi?

E qui la risposta si fa già più complessa perché intervengono molte variabili e molte di esse sono interdipendenti.
L’unica certezza è che rispetto al passato, quando era un titolo di studio ad aprire molte porte del mercato del lavoro, ora questo avviene con maggiore difficoltà.
Se prima studiare garantiva in un modo relativamente facile l’ingresso nel cosiddetto “ascensore sociale” e l’uscita ad un “piano  sociale/economico superiore”, adesso la concorrenza è diventata parecchio forte: significa che vi è stato un innalzamento dell’asticella.
Il meccanismo è più complesso, quindi più difficile da maneggiare e interpretare. Bisogna avere voti scolastici  alti e bisogna completare cicli di studio lunghi. E spesso ancora non basta. Bisogna mettere sul piatto anche altre competenze trasversali.
La padronanza di più lingue straniere e la capacità di spaziare su campi di interessi vasti, aiutano. Ma serve anche – e sempre più spesso rappresenta la vera differenza – una solida formazione digitale. Stare al passo con le evoluzioni di hardware, software, apps, motori di ricerca, social content, e-commerce, reti, big data, sono – già adesso – i territori da esplorare e sui quali dovete confrontarvi.  

Quali le parole chiave da portare a casa oggi, quelle che le aziende ricercano nei colloqui di lavoro, al di là delle competenze e della preparazione specifica:

Ottimismo.
Come capacità di automotivarsi, di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Anche quando le cose sembrano essere negative,  non ascoltare troppo i disfattisti ed i pessimisti “per contratto”, per i quali si va sempre peggio.  Troppi adorano raccontare solo cose negative. Citando Gramsci, serve l’ottimismo della volontà.

Lavorare sodo.
Partendo dal noto adagio di Thomas Edison,  il successo è fatto al 10 % di ispirazione e al 90% di traspirazione …

Determinazione.
Secondo lo scrittore e studioso Malcom Gladwell, sono 10.000 le ore necessarie per  eccellere in una qualche disciplina. Anche il migliore dei talenti ha bisogno di fare molta pratica per acquisire consapevolezza e confidenza con le proprie capacità. Allenatevi con determinazione!

Relazione.
Non basta essere geniali per avere successo. La capacità di sapersi relazionare con gli altri e l’intelligenza emotiva sono competenze primarie. Curate le relazioni alimentandole e arricchendole giorno per giorno.

Curiosità e passione
La capacità di entusiasmarsi per qualcosa.  Il piacere di approfondire e di scoprire .
Einstein  diceva “non ho un particolare talento, sono solo incredibilmente e appassionatamente curioso…”

Insomma pare abbia ragione Vidal Sassoon, un grande imprenditore:  The only place where “success” comes before “work” is in the dictionary.

Nessun uomo è un isola sosteneva il poeta John Donne.
E se riprendiamo la metafora – a me molto cara – della nave che si mette in mare per provare a tracciare  la nostra personale mappa del mondo, per definire confini e disegnare rotte possibili, per scoprire nuovi territori e nuove realtà, all’interno, possiamo trovarci molto della nostra inquietudine.

E poiché i racconti non hanno mai fine, tre generazioni più tardi, tra poco anche mio figlio, dopo un Erasmus in Olanda, uno stage in Danimarca e molti viaggi in giro per il mondo, ripercorrerà – questa volta in aereo – il percorso dei suoi bisnonni verso gli Stati Uniti per un corso di formazione di alto livello grazie al progetto Talent Up.

Buon vento a lui e a tutti voi, con l’auspicio per tutti voi – memori del nostro passato – di poter essere maggiormente tolleranti con i migranti e, soprattutto, di poter partire, per scegliere poi di ritornare.

Lucio Murru

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