Tempi duri per l’Economia del Prozac, come l’ha ribattezzata Giovanni Sartori.
L’ottimismo-per-contratto, che sino a ieri era il refrain preferito dei media e che solo i pericolosi bolscevichi si sognavano di contraddire, è in crisi.I dati parlano chiaro: il PIL continua ad avere crescita negativa (curiosa parafrasi dovuta appunto presumibilmente al Prozac) e la disoccupazione, specie quella giovanile, sta diventando veramente intollerabile. Giovanni Sartori sul Corriere della Sera di qualche mese fa, concludeva così il suo articolo: “Alle nuove generazioni occorrono istituti tecnici e scuole di specializzazione collegati all’ «economia verde», al ritorno alla terra, e anche alla piccola economia delle piccole cose. Altrimenti saremo sempre più disoccupati.”Se Gavino Ledda, con Padre Padrone, rappresentò la riscossa del servo povero e il sogno di riscatto del pastore sardo, materializzatosi poi ad Ottana, Portotorres e nel Sulcis, la crisi di oggi ha solo certificato che quei sogni sono finiti da un pezzo.L’equazione del boom, quella della quale si erano innamorati i nostri padri: titolo di studio = balzo di classe sociale e conseguente ingresso nel corpo dirigente della società, è purtroppo rovinosamente fallita, lasciandosi dietro quelle ciminiere e quelle pesanti infrastrutture che già ora, dopo neppure mezzo secolo, chiamiamo correntemente archeologia industriale.In un mondo del lavoro che si restringe molto velocemente e che ha saturato tutti gli spazi di accesso, anche la Contessa di Pietrangeli dovrà ricredersi sul fatto che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Non è più così. O non lo sarà più a breve.Quanti dei 3.000 pastori e agricoltori che nel 1971 credettero che il sogno di Ottana avrebbe per sempre cambiato la loro vita, sono già tornati, dopo anni di cassa integrazione e mobilità, a fare il mestiere dei loro padri? Parecchi; e il fenomeno non appartiene solo alla Sardegna.Un recente reportage su Trentino, Veneto e Lombardia apparso su Repubblica raccontava di molti giovani, alcuni laureati, altri diplomati, che si stanno riscoprendo pastori e che riscoprono le vetuste pratiche della transumanza.
Se ha ragione Sartori, e temo abbia ragione da vendere, presto assisteremo al rinforzarsi di un flusso inverso: saranno anche i laureati-disoccupati a voler tornare nelle campagne e negli ovili. Sarà la riscossa dei nuovi piccoli allevatori, del micro-turismo rurale sull’ “economia dell’Iphone” e sui colletti bianchi? Una micro rivoluzione che riscriverà le nostre priorità?Forse inizialmente una scelta obbligata, ma che può diventare – ripensando i processi di produzione, integrandoli con quelli distributivi e contaminandoli con i flussi turistici – una bella rivincita per una professione spesso denigrata e che ha sofferto di una pesante emarginazione sociale.
Oggi, se vi fosse un concreto supporto di scuola e Università e una maggiore attenzione della politica, sfruttando innovazioni di processo e di prodotto, potrebbe risorgere e forse offrire nuove e stimolanti opportunità di lavoro e di vita.Lucio Murru