Turismi da incubo #15: CORTAS E CHIUSAS.


Se state “passando in Sardegna leggeri”, in veste di spavaldi turisti fuori stagione, emuli di Atzeni, D.H. Laurence o di Valery e avrete la tentazione di cantare senza indugio la strofa “no one speaks English, and everything’s broken” del Tom Traubert Blues di Tom Waits, cercate di aver pazienza.

Siamo un popolo generalmente virtuoso ma che ha dentro di sé follie, stranezze e incredibili contraddizioni, non sempre facili da capire. Sappiamo esser amabili, fantasticamente cortesi, premurosi ed ospitali, almeno tanto quanto possiamo essere al tempo stesso anche incredibilmente indecifrabili, incoerenti, detestabili e turisticamente folli.

Cercate di perdonare, ad esempio, la signora della disastrata e impresentabile baracchetta che vendeva frutta e verdura per tutta l’estate lungo la strada verso il mare. Ha chiuso, senza se e senza ma, ai primi di settembre. Peccato perché aveva ottima frutta arrivata direttamente dai suoi orti. Ma lì il turismo arriva tardi e va via presto, ha scelto la strada più facile.

Dovete essere comprensivi anche con i proprietari del chioschetto sul mare che già domenica 13 settembre sulla costa orientale stavano diligentemente smontando la struttura, forti del fatto che l’Ordinanza Balenare della Regione Sardegna, (anche quest’anno) gli consentiva di chiudere ancora prima che l’estate fosse ufficialmente messa in soffitta. Spiagge da cartolina ma solo per pochi tedeschi, fortunati, nichilisti forse, di certo di bocca buona per fare la seconda metà di settembre in un deserto di servizi.

È sempre più arduo, ma provate anche a comprendere i dipendenti dell’Ufficio Informazioni Turistiche di Nuoro. Aprono dal lunedi al venerdì. Chi glielo fa fare ad organizzarsi per fare un turno continuato durante la settimana, ed a tenere aperto il sabato e la domenica?
Hanno però la coscienza a posto. C’è un bel cartello in 4 lingue: Chiuso sabato e domenica. Saturday and Sunday closed. Fermè le Samedì et le Dimanche. Samstag und Sonntag geschlossen.
Almeno così, voi turisti pretenziosi, saprete con poliglotta certezza che il turismo, per la Sardegna, è una risorsa solo nei convegni.

Poi però, accanto ai turismi da incubo, sappiate che c’è anche qualche buona notizia.
Come Cortes Apertas – e la sua forma evoluta denominata Autunno in Barbagia – una manifestazione che si sforza di creare alternative al mono-prodotto balneare e che prova a rimetterci in pace con il frastornato mondo turistico.
L’organizzazione e la promozione sono forse migliorabili, ma il risultato esperenziale è per il turista – sia esso locale o no – esattamente come se lo aspetta. Pienamente soddisfacente.
Ospitalità, allegria, cortesia, tradizioni, artigianato, tipicità, colore, profumi, sapori, prezzi, tutto concorre a rendere l’esperienza indimenticabile.
Cortes Apertas, cioè cortili aperti, potrebbe potenzialmente essere il nome del turismo 2.0.
La Sardegna autentica che hai letto sui libri della Deledda, di Costa, della Giacobbe e che hai sognato di incontrare. Prendendo in prestito lo slogan della Sagra del Redentore, potrebbe essere “il futuro delle tradizioni”.

Un solo problema enorme.
Come la carrozza di Cenerentola, alla mezzanotte le Cortes Apertas si ri-trasformano in zucche. Quelli che dovrebbero essere villaggi permanenti, veri laboratori di arte e artigianato sono invece, ahimè, qualcosa che si avvicina di più ad un set cinematografico. Bellissime finzioni che durano lo spazio di uno spot e poi si smontano pezzo a pezzo a fine evento, come in una volgare fiera del mobile.
Conclusa la manifestazione, il turista  trova solo ghost towns diverse da quelle magiche, accoglienti, calde ed emozionanti descritte entusiasticamente su Facebook, Twitter, Instagram, Flickr e WhatsApp.
Dissolte come neve al sole. Il circo si è già spostato in un altro paese.

Non che gli eventi di Autunno in Barbagia non siano memorabili o utili, è solo che rischiano di apparire come l’ennesima incompiuta nel traballante e fragile modello dell’industria turistica. Si continua a pensare a breve termine. Ci accontentiamo di sviluppare e celebrare episodi.  Di successo, almeno a livello locale, ma purtroppo episodi.
Cortas, per la loro brevità, e Chiusas, perché aperte solo per il breve orizzonte del weekend, è il nomignolo che gli è stato appiccicato dai soliti spiritosi.

E non è del tutto sbagliato. Invece di pensare a cambiamenti strutturali, efficaci e permanenti, rischiamo di fare teatro. Non consideriamo affatto strategica, per il turismo, la rielaborazione del concetto del centro storico. Non siamo affatto ossessionati dall’urgenza di trovargli un futuro per farlo tornare ad essere permanentemente vivo e vivibile.
Cortes Apertas alias Autunno in Barbagia, dimostra che il centro storico con le sue Corti è il contenitore naturale degli attrattori culturali, dove si possono concentrare energie nuove, attive e operosamente affascinanti. Queste attività imprenditoriali belle da vedere sono custodi della tradizione e potrebbero ridare linfa ai nostri borghi, sia per il turismo interno che per quello extraregionale.

Il turista mostra di amare questa Sardegna “non-marina” e questo interesse significa anche che dobbiamo ripensare alla nostra educazione turistica.
In Sardegna non c’è (solo) il mare”, oltre al libro di Fois, potrebbe essere anche il titolo di un Manifesto pro-turismo per un nuovo cambiamento culturale. Un Manifesto che scelga di intervenire  sulle strutture architettoniche e commerciali dei centri storici, sulle quali investire le intelligenze dei giovani e le risorse dei vecchi.  Per rianimare e sostenere allo start-up Centri storici i quali altrimenti non sarebbero in grado di garantirsi un ritorno economico immediato. Ma che potrebbero essere cruciali per provare a costruire un profondo rinnovamento volto a cambiare l’inerzia dei trends di spopolamento dei piccoli centri, assurgendo al ruolo di  potenti attrattori per attivare flussi turistici nuovi.
Uno spettro si aggirerà sull’isola? Lo spettro di una rivoluzione culturale e turistica?
Magari, una ri-evoluzione.
Magari.

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