Turismi da incubo #16: terapie Californiane

La nostra Ottana del turismo si chiama Ryanair.
Ma negli anni ’60 Ottana poteva avere un senso. I sostenitori della corrente economica che credeva nel cosiddetto “sviluppo squilibrato”, erano in qualche modo giustificati. L’idea che un massiccio intervento pubblico per innestare nuovi dinamismi industriali “esterni” in un territorio debole e incerto sul da farsi, poteva anche starci. I grandi poli di sviluppo, gli imprenditori del continente, la petrolchimica, i finanziamenti a fondo perduto sono stati per lunghi anni il solo linguaggio della politica economica sarda e ne hanno segnato purtroppo il mancato sviluppo.
Oggi, a distanza di 50 anni siamo ricaduti nell’errore di affidare il nostro sviluppo a fattori esogeni.
Un isola alla ricerca di una identità, può essere così ingenua da  pensare che il nuovo piano di rinascita turistica passi da un simpatico imprenditore Irlandese del trasporto aereo, che come gli industriali degli anni ’60, sceglie le destinazioni da mettere a catalogo solo sulla base degli incentivi economici ricevuti? Ed è – oggi come allora – cinicamente e velocemente pronto a cambiare aria appena questi finiscon

Che Ryanair sia un colosso dei cieli e un impresa di successo non si discute. Che non sia un associazione no-profit, anche questo è chiaro a tutti.
Che con quelle tariffe davvero incredibilmente basse non possa produrre utili è altrettanto evidente e documentato dai bilanci.
La tariffa media dichiarata di 47 euro, infatti, non copre affatto i costi operativi. Servono altri denari (circa 15 euro a passeggero) per produrre quasi 900 milioni di utili: risorse che arrivano dalle attività ancillaries, tra le quali rientrano evidentemente anche i contributi “marketing” di asfittici territori in cerca di rilancio turistico, proprio come il nostro.
Quindi in tutti questi anni anziché pensare a creare motivazioni concrete di stimolo della domanda, solo  per fare qualche esempio campi da golf, eventi, scuole di vela, percorsi archeologici o culturali, in una parola attrattori, abbiamo invece scelto la strada più comoda per tutti.
Abbassare i prezzi del trasporto.
Cosicché la destinazione Sardegna non è diventata la scelta ragionata di un prodotto turistico definito e custode di una preziosa e straordinaria identità, ma una delle tante opportunità low-cost da catalogo.
Uno sfizio da consumare per un qualsiasi weekend mordi e fuggi.
Nel modello low-cost non importa dove andrai, basta che tu vada. Non miriamo ad essere un iPhone della vacanza, ci basta essere un LG da 39,90 euro.

I grilli parlanti che adesso si rinfacciano responsabilità, colpe, omissioni e miopia fanno molto rumore per nulla. Quali sono le politiche di sviluppo turistico degli ultimi 20 anni?
C’è un concetto, un idea, una peculiarità, un vantaggio competitivo che quando finirà l’emergenza nord-africana farà ricordare al viaggiatore evoluto un motivo forte e imprescindibile per venire in Sardegna?
C’è qualcosa di solido che abbiamo costruito nel posizionamento della Sardegna all’interno delle preferenze del viaggiatore, e che lo porterà a sceglierci anche nel 2016, perché siamo davvero unici, bravi, diversi, inimitabili?

Forse la risposta è no.
Altrimenti alla notizia che un vettore low-cost chiude una rotta, vi sarebbe una “domanda di Sardegna” talmente forte da indurre altri vettori aerei ad operarla senza indugio.

Tra Cagliari e Alghero le cancellazioni Ryanair produrranno nel 2016 una perdita di circa 900.000 passeggeri,  circa 450.000 arrivi. Traffico che evidentemente non ha una propria sostenibilità economica altrimenti easyjet, Volotea, AirBerlin, Norwegian o qualche altro, tra le decine di operatori aerei già presenti sulle rotte stagionali si sarebbe fatto avanti.
Qualche frettoloso politico si è azzardato anche a disperarsi provando a stimare la perdita di PIL. Prima di lanciarsi in voli pindarici, parlando di centinaia di milioni di euro di perdita, sarebbe utile capire quale era la vera composizione dei viaggiatori di quelle rotte, quale la spesa media reale sul territorio. Poi portiamo in detrazione, per misurare il reale effetto sul Pil,  quanti erano i sardi che volavano su quelle rotte e quindi effettuavano spese all’estero e quale il contributo concesso da Ras e aeroporti a Ryanair. L’articolo di Alessandra Carta su Sardiniapost  è molto chiaro in proposito. Giochiamo a carte scoperte, insomma.

Si tratta, a ben vedere, di temi complessi che incideranno sulle direttrici dello sviluppo strategico dei prossimi anni.   Complessità che meritano tutta la nostra  attenzione in un confronto che andrebbe sviluppato auspicabilmente con ponderazione e soprattutto a mente sgombra da polemiche e ricatti contingenti.

A complicare uno scenario già molto confuso, ci ha pensato il Presidente Pigliaru in una intervista a Il Sole 24 ore dal titolo “la Sardegna sogna la California”: “per esempio – si legge –  che cosa accadrebbe se la nostra isola riuscisse a liberarsi dal doppio monopolio delle navi Tirrenia e delle società di autonoleggio che intrappolano i turisti?”.
Anche i rent-a-car pertanto, a lungo considerati la salvifica soluzione per un sistema di trasporti interni debolissimo e inefficiente, adesso sono diventati IL problema. La soluzione per Pigliaru (e Soru), potrebbe essere  il car sharing, il quale – si sostiene – “potrebbe cambiare il modo di concepire una vacanza“.
Al mantra di trovare un metodo nel caos, il Master Plan dei Trasporti presentato a Renzi ( tra le mille polemiche) prevederebbe una navetta di 14 voli al giorno Cagliari-Roma a soli 25 euro e un miliardo e mezzo di euro per la rete ferroviaria. Il tutto finanziato dallo Stato centrale, in un futuro forse radioso ma ancora completamente da definire.

Nella trepida attesa, dopo le grandi speranze del boom economico ai tempi di Ottana, resiste negli anni 2000 l’unico modello di sviluppo prodotto da destra e da sinistra negli ultimi 15 anni: il sogno (più o meno) Californiano declinato in salsa Irlandese.

See ya (Adiosu).

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