Turismi da incubo #29: ricerca e sviluppo

Ricerca e sviluppo: un nuovo Crs4 per il turismo.

“… innovazione e  ricerca quali chiavi di sviluppo per l’economia e per i territori …”.

Quante volte abbiamo sentito questa frase? E’ ormai diventato un leitmotiv di tutte le politiche di sviluppo locale, un mantra che accompagna i percorsi virtuosi di crescita che partono dal basso, che coinvolgono i territori e le loro peculiarità, che li aiutano a valorizzare e trasformare in impresa (produttiva)  i saperi e le buone pratiche ingabbiate troppo spesso su processi tradizionali.
I teorici dei processi di sviluppo ne hanno addirittura declinato un modello di sviluppo, identificando nella “tripla elica”quel sistema virtuoso di relazioni e sinergie fra mondo della ricercasettore produttivo e pubbliche amministrazioni in grado, appunto, di trasferire saperi e conoscenze, generando innovazione e sviluppo.
Gli esempi di successo di questo percorso sono innumerevoli e sparsi in tutto il mondo: dall’Irlanda alla Catalogna, passando per i poli di innovazione francesi, numerosi sono i casi di buon successo del modello “tripla elica”, anche se il processo non è semplice né agevole, come testimoniano gli altrettanti fallimenti.

In Sardegna potremmo pensare a qualcosa di simile pensando al comparto del ITC che ha generato negli ultimi 15 anni un discreto sviluppo di piccole start up e microaziende che operano nel settore dell’informatica e del web (ben 155 al 2016).

E il turismo?

Spesso citato come la panacea di tutti i mali (economici) dell’Italia e della Sardegna, l’ambito sul quale puntare per generare sviluppo, reddito, occupazione nei territori, in che rapporto si pone con la ricerca?
Nonostante la sua incidenza sul PIL nazionale oscilli fra il 10 ed il 12% (11,8% fonte IRISS, 10,1 % fonte CDP) con un trend in forte crescita soprattutto da parte del mercato internazionale (+32,2% in 10 anni, fonte IRISS), nonostante nei fatti sia spesso, per determinati territori, l’unica industria presente o attiva (spesso entrambe), nonostante sia da sempre considerato un settore strategico per lo sviluppo territoriale, di fatto appare un comparto marginale e periferico, nei confronti del quale spesso la politica appare indifferente.
Nonostante Federalberghi e Cassa Depositi e Prestiti gli assegnino un valore aggiunto rilevante, quasi doppio rispetto a quello del settore agricolo-alimentare e quasi cinque volte quello del prodotto tessile e abbigliamento, incluso il pluri citato comparto moda, il turismo non è ancora riuscito a trovare una sua dimensione scientifica rilevante e centrale.
Basti pensare che nelle declaratorie dei 370 settori scientifico disciplinari nei quali è suddiviso l’ordinamento universitario nazionale, la parola “turismo” compare solo 2 volte per altrettanti settori (Ingegneria informatica e Sociologia dell’ambiente e del territorio), a dimostrazione del suo scarso radicamento dentro la ricerca pubblica nazionale.
Se guardiamo  a casa nostra, nell’ultima tornata di approvazione dei progetti di ricerca finanziati dalla legge regionale n°7/2007, nei 149 progetti finanziati non compare mai la parola “Turismo”.
Altro che tripla elica o ricerca come motore dello sviluppo: il turismo è ben lontano dall’avere quella dimensione scientifica minima in grado di generare processi virtuosi che, proprio attraverso la ricerca, possano garantire significative ricadute sul territorio.
Questo mancato feeling con la ricerca significa che il turismo è poco studiato, malamente misurato, insufficientemente citato e letto in letteratura, con un basso livello di innovazione, di sperimentazione.
Ricerca e sviluppo sono quindi consistentemente estranei alle organizzazioni turistiche e di conseguenza assenti ingiustificati negli organigrammi aziendali: a parte qualche analisi sul marketing turistico, per il quale sono stati elaborati modelli e le costruzioni teoriche, organizzative e metodologiche, poco o nulla si è fatto (intere funzioni di management gli sono sconosciute).

Si parla molto di “turismi”, di quanto siano importanti le nicchie per diversificare, per catturare nuovi target, per aprire opportunità nuove, ma non si studiano, progettano e costruiscono pacchetti, programmi, sinergie.
Eppure ci sarebbero praterie sterminate  nelle quali poter sperimentare e sviluppare attività di ricerca: pensiamo a tutti i modelli di data mining, necessari per le analisi verticali dei fenomeni, oppure alle sperimentazioni legate all’ICT ed al web, o alle strette interazioni con i modelli di trasporto e di logistica, o ancora ai processi di valutazione dei modelli di organizzazione aziendale e della loro gestione, dalle microaziende ai grandi tour operator. In quest’ultimo caso, si potrebbero, ad esempio, studiare e sperimentare  modelli di aggregazione che mettano insieme i tanti piccoli operatori che sono la stragrande maggioranza del comparto turistico: oltre l’80% delle imprese turistiche sono di piccola e piccolissima dimensione ed oramai è noto (vedi Turismi da incubo #28 “Benchmarching: un alieno nel turismo”) che la piccola dimensione delle strutture turistiche rappresenti il vero limite allo sviluppo di funzioni evolute.
Così come venticinque anni fa la Regione Sardegna decise di creare il  CRS4 (Centro Ricerca, Sviluppo e studi superiori in Sardegna), ovvero un polo di ricerca sui temi dell’ICT e dei sistemi computazionali, anche nel turismo ci vorrebbe qualcosa di analogo, ovvero un organismo che:

  • sistematizzi le conoscenze,
  • apra nuove strade,
  • faccia tesoro di sperimentazioni internazionali,
  • dialoghi costantemente con gli operatori,
  • sia propositivo e studi le nuove organizzazioni turistiche dall’interno per migliorarle.

Insomma, un sistema di menti pensanti, attente, curiose e preparate che faccia ricerca e la applichi.
Riformare non basta, bisogna riscrivere le regole dello sviluppo. Da capo. Magari immaginando un CRS5.

Gianfranco Fancello & Lucio Moore

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