Incontri con gli specialisti: Stefano Sedda

Stefano Sedda,  50 anni, Belluno. 


Sardo per cognome e per patrimonio sanguineo, ingegnere forse atipico, studioso entusiasta di risorse umane e osservatore privilegiato di modelli turistici innovativi.
Costruttore instancabile di reti di relazioni, prossimo counselor, sempre alla ricerca di scambi culturali e della necessità di mixare incessantemente competenze e passioni.
Strenuo sostenitore di approcci razionali e metodologici rigorosi, che possano però avere l’umiltà e la volontà di rispettare e valorizzare il fattore umano.

Esperienze significative in Alisarda, Meridiana, Eurofly, Alpitour, Ventaglio, Francorosso, Ambire, spaziando dalla consulenza manageriale al re-engineering di processi, dalla Direzione del Personale al blogging sul sito http://stefanosedda4hr.wordpress.com.
Ideatore del modello di misurazione della efficienza organizzativa www.hellopitagora.com, Recente co-fondatore e membro del comitato scientifico della IAS Compliance Business School, divisione Educational dell’organismo di certificazione svizzero IAS Register.

Domanda 1 – Ingegner Sedda,  come valuta oggi le prospettive turistiche della Sardegna, viste con gli occhi di chi oggi vive sul Lago di Como, comparandole con quelle che trovò vent’anni fa quando comincio a lavorare in Alisarda ?

R. Le prospettive di sviluppo turistico sardo sono e rimangono ancora inesplorate. Dai tempi del mio primo lavoro in Alisarda vedo molti cambiamenti ma frutto di iniziative spontanee, a volte casuali, e slegate tra loro. Più che al lago di Como penso, per un confronto al Lago di Garda che riesce ad avere una stagione di circa 10 mesi avendo strutturato una offerta diversificata per un mercato variegato di turisti. Una offerta che nasce da una combinazione quasi magica del lavoro delle istituzioni da un lato che hanno si indirizzato ma soprattutto hanno agevolato il lavoro dei privati che hanno saputo fare squadra e sistema integrandosi in un brand, il lago di Garda, pur continuando a competere.
Credo che anche la Sardegna dovrebbe ripetere questa esperienza attraverso un ruolo del pubblico di custode del bello dell’isola e fluidificatore di processi privati e non di attore principale che con invadenza tenta di sostituirsi al privato.
Tutto questo non può non passare attraverso un’opera di educazione e sensibilizzazione di chi in Sardegna opera e vive. Come avviene nel Lago di Garda le persone sono i principali attori dell’accoglienza turistica e si adattano quasi fossero un sistema vivente alle esigenze del mercato, senza che questo però a sua volta invada con prepotenza il loro territorio. Solo amando davvero il proprio territorio si riesce ad avere la forza di offrirlo al turista con un delicato equilibrio che salvaguardi la sua esperienza e il territorio stesso. Solo amando davvero il proprio mondo lo si può offrire generosamente al turista, pretendendo la stessa generosità da chi lo visita e organizzandosi con altrettanta generosità con gli altri attori presenti.
Senza quest’opera di sensibilizzazione culturale ognuno continuerà a difendersi dal vicino e dal turista stesso, puntando a operazioni che anche inconsapevolemnte si rivelano speculative e dannose per il territorio.

Domanda 2 – Il nostro PIL turistico è inferiore a quello della Francia e molto al di sotto della Spagna. 
Turchia, Grecia, Croazia e Cipro ci erodono ogni anno preziose quote di mercato. 
Vi sono esempi di strategie nazionali o internazionali che potrebbero rappresentare modelli virtuosi da seguire?

R. nIn campo nazionale ho citato il Lago di Garda, ma potrei aggiungere il Collio che, se pur piccolo e non paragonabile alla Sardegna, sta creando un sistema a 360 gradi di offerta del suo prodotto-territorio, dal soggiorno, alla gastronomia, all’enologia. L’esempio di Torino che dopo le Olimpiadi 2006 ha saputo fare sistema con tutte le sue potenzialità turistiche è un altro caso da studiare e analizzare.
A questo potremmo aggiungere due casi classici ,quasi opposti l’un l’altro, ma interessanti per la loro peculiarità: la costiera Amalfitana e la riviera Romagnola. In entrambi i casi hanno saputo valorizzare le loro potenzialità e creare un prodotto che dura da tempo nonostante l’evoluzione della società.
Da ultimo, cito l’alto Adige che ha saputo integrare agro-alimentare e ambiente in un’unica offerta che oggi occupa ormai quasi tutti i 12 mesi.
A livello internazionale, mi piace citare Cancun, città costruita a tavolino negli anni ’70 che oggi rappresenta un’articolata e integrata offerta turistica (purtroppo ultimamente appannata da eventi esogeni come la criminalità organizzata che nulla hanno a che fare con il turismo).
Voglio citare due altri esempi anche loro simili ma con peculiarità specifiche: le isole greche e le isole baleari. Le seconde hanno saputo trovare nel Mediterraneo un ruolo da protagoniste, riuscendo a offrire quattro prodotti diversi tra loro ma riconducibili a una radice assimilabile costituita dal territorio. Hanno infatti saputo imporsi in Europa come destinazione turistica annuale, o quasi, grazie a strutture che possono soddisfare le attese dei loro clienti e a un sistema di accoglienza che sà girare in modo perfetto e sincrono. Ogni isola ha la propria vocazione ma allo stesso tempo garantisce il basico: mare e ambiente di livello.
Le isole greche, le mie preferite, rappresentano una realtà molto più dispersa e variegata ma come le Baleari riescono a conservare una radice comune, mare e ambiente di livello, una tradizione locale che fa parte della loro attrattività e una diversificazione che le porta assieme a poter soddisfare ogni tipo di esigenza.
La differenza tra le due è che mentre le Baleari hanno una integrazione voluta e agita, per le isole greche questa integrazione è spontanea e quasi casuale ma comunque perfettamente funzionante.

Domanda 3 – Visti i fallimenti delle politiche di coordinamento tra Governo centrale, Regioni e Province delle singole regioni Italiane e, assodato che il turismo è un’industria “glocal” con competizione internazionale ma offerta locale, ritiene abbia ancora un senso competere attraverso gli sforzi necessariamente deboli dei micro-territori o sarebbe più efficace che un ente centralizzato prendesse in mano strategicamente il comparto?

R:  Direi proprio di no. In ciò che ho scritto prima è contenuta la mia visione/convinzione. Ritengo che a livello nazionale e sistemico ci debbano essere una azione di sensibilizzazione culturale forte, una educazione professionale con la creazione di nuove figure professionali (alcune realtà di eccellenza esistono già), un complesso normativo che custodisca e tuteli il bello e il bene comune e un’azione di semplificazione delle leggi che regolino l’imprenditorialità del settore turistico, magari agendo pesantemente sulla leva fiscale.
Il sistema centrale deve quindi agire sulle meta-condizioni affinchè il sistema locale e privato possa in modo facile e spontaneo agire in squadra e in modo integrato.
L’esempio del Lago di Garda vede, ad esempio, tre province di tre regioni diverse che hanno saputo unirsi e integrarsi proprio perchè avevano un obiettivo comune. Lo stato crei le condizioni senza forzare aggregazioni e iniziative che avverranno spontaneamente sulla base dei diversi interessi che ogni territorio offre.

Domanda 4 –  Come si esce dal Triangolo delle Bermuda nel quale sguazzano programmi politici che restano sempre sulla carta, deficit di competenze strutturali e contraddittorie norme di legge?

R. Attraverso un’azione educativa e di sensibilizzazione e con una leva fiscale idonea. Si defiscalizzino le iniziative virtuose e il privato saprà trovare da solo la sua dimensione.
Le uniche iniziative politiche devono rivolgersi a semplificazione delle norme e ad una sensibilizzazione continua e costante della popolazione sul senso dell’accoglienza da un lato e sulla valorizzazione del proprio territorio dall’altro. Ci vuole qualcuno che abbia la forza di promuovere il bello, semplificando le normative e possibilmente alleggerendo l’imposizione fiscale, ma lo deve fare senza eccezioni e senza soluzione di continuità.

Domanda 5 –  Il settore turistico Sardo, ha preso in pieno la grande crisi internazionale. Fatichiamo a inquadrare il fenomeno, non abbiamo ben chiaro dove vogliamo andare e non studiamo a sufficienza le interdipendenze con agroindustria, artigianato, cultura, ambiente.
 Da dove possiamo ricominciare?

R.  Da una visione integrata di tutte e quattro. Si deve cominciare non dagli uffici legislativi della regione ma dai banchi di scuola dove tutti devono tornare. La Sardegna deve costruire una squadra di persone che sappiano analizzare ciò che avviene nel resto del mondo e lo sappiano sintetizzare adattandolo alla realtà locale e al contempo siano in grado di convincere ogni abitante a fare qualcosa per il turismo.
Dal piccolo gesto, come la pulizia delle strade, a qualcosa di più grande come la manutenzione delle proprie abitazioni, a qualcosa di ancor più grande come l’abbellimento di paesi e città.
La Sardegna deve iniziare ad avere scuole belle e palazzi istituzionali belli, ogni sardo deve capire che il bello è opera propria. Amando il bello riuscirà a trasmetterlo ad ogni turista, che a sua volta lo trasmetterà ad altri che diventeranno turisti.

Domanda 6  – L’isolamento fisico della nostra terra non aiuta ad uscire da modelli spesso arretrati ed autoreferenziali. 
La stagionalità è anche un male dello spirito, figlia di carenze culturali che dobbiamo ancora accettare e superare.
 Possiamo destagionalizzarci?

R. Certo che sì. Se ci riescono realtà con climi meno dolci della Sardegna non vedo perchè oggi che il trasporto aereo non è più una barriera all’ingresso non lo possa diventare la Sardegna.
Certo la destagionalizzazione non avviene per decreto;  avviene solo grazie ad una offerta turistica sincera e organica. Sincera perchè chi vive in Sardegna deve raggiungere quella maturità, di cui parlavo prima, dando intensità all’amore per il proprio territorio, per inventarsi ogni giorno un qualcosa di attrattivo.
A mio modo di vedere oggi chi vive in Sardegna è ancora concentrato sulla difesa del proprio territorio in modo così chiuso ed esclusivo da non riuscire invece a trovare il piacere e la fierezza di offrirlo. Guardiamo la Riviera Romagnola, di certo non bella come la Sardegna, ma popolata da persone così fiere di essa da non chiudersi a sua difesa ma da aprirsi per offrirla.
So che questo per molti sardi non sarà un discorso accettabile, ma essendolo anche io per metà mi sento autorizzato a parlare così:   ogni sardo è convinto di essere fieramente attaccato al proprio territorio ed in effetti lo è; ma lo è in modo chiuso e geloso e finalizzato, come dicevo alla difesa non all’offerta. La Sardegna è un diamante che i Sardi tentano di preservare e che qualcuno ogni tanto riesce a prendere e ad usare in modo non sempre consono ad una pietra preziosa. Se invece i Sardi decidessero di esporlo quel diamante, fieri di averlo ma non timorosi di esserne privati, forse cambierebbe lo spirito.

Domanda 7  – E’ vero peraltro che, dopo quella che fu chiamata “l’invasione degli imprenditori continentali” degli anni ‘60-’70, adesso vi sono molte aziende che hanno managers sardi che hanno potuto studiare oltre confine, che hanno lavorato duro e che ora stanno mettendo a frutto le lezioni imparate. L’università e la scuola  potrebbero fare di più?

R. Potrebbero fare di più se diventano belle. Non insisterò mai abbastanza. Le scuole devono essere luoghi belli dove si impara cosa significa stare bene e dove chi le popola respira la serenità del vivere in un luogo piacevole. La storia di Steve Jobs ci deve insegnare questo.

Domanda 8  – Ogni volta che si affronta il tema dello sviluppo turistico in Sardegna, viene a galla un annosa disputa tra chi propugna il modello del turismo di massa delle Baleari  e coloro che invece temono un pericoloso rischio di consumazione del territorio dicendo “meglio pochi ma buoni”. 
Questa disputa senza apparentemente né vinti né vincitori, non può ignorare il fatto che nel 2014 l’isola registra una disoccupazione giovanile impressionante. Nella fascia 15-24 anni a febbraio 2014 era pari al  54%.
Che fare?

R.  Le baleari non sono solo un prodotto di massa. Anche in pieno Agosto ci sono spiagge per pochi e posti dove si può trovare la tranquillità accanto alla massa che chi vuole può trovare.
Oggi la Sardegna rischia di diventare solo di massa, questo è il problema vero. Mentre il sardo discute se diventare o no di massa, quest’ultima ha preso il sopravvento distruggendo territorio e stagionalità.
Ancora una volta io però penso che non si possa condizionare il mercato per decreto ma con una articolazione dell’offerta che non può avvenire neanche essa per decreto, ma solo con una sensibilizzazione del singolo individuo.
La disoccupazione giovanile la si combatte creando nuove opportunità d’impresa  e con la leva fiscale. I giovani non devono cercare il posto fisso in una industria che non avrebbe mai dovuto esserci in Sardegna, ma devono essere agevolati a creare da sè  il posto di lavoro. Come? Con la conoscenza e le competenze e con un sistema che garantisca regole uguali per tutti. I giovani devono essere stimolati a competere tra loro per riuscire a dare alla Sardegna ciò che si merita, ovvero un posto rilevante nel turismo e nella creazione del benessere. La Regione deve insegnare e garantire che tutti competano ad armi pari. Chi vince farà l’imprenditore ma chi non vince o non vuole competere  potrà lavorare nelle aziende che si creeranno. In questo modo nessuno perde, tantomeno la Sardegna

Domanda 9  – Un buon consiglio per  un giovane che aspiri a diventare un imprenditore turistico?

R.  Parta dal territorio, verifichi se riesce ad amarlo veramente al punto da trasmettere questo amore ad altri e poi inizi a costruire un prodotto che sia bello, che sia unico e che sia comunicabile.
Parta dal suo territorio, ne comprenda le distintività, crei sistema con chi gli sta accanto e abbia il coraggio di uscire nel mondo a far vedere la sua idea, il suo prodotto.
Poi, ma solo dopo, faccia un business plan.
Chi imprende nel turismo deve essere lui stesso un turista, per poter entrare in sintonia con i suoi clienti.
Triganò diceva che sceglieva dove costruire i suoi villaggi per tre motivi: la bellezza del posto, la bellezza del posto e la bellezza del posto.

Grazie all’Ingegner Stefano Sedda per la sua chiarezza e per averci regalato nuovi punti di vista

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