Incontri con gli specialisti: Antonietta Mazzette

Antonietta Mazzette, Sassari.
Donna curiosa e attenta a ciò che accade nel mondo e in Sardegna, usa ad andare contro corrente, ha fornito e continua a fornire chiavi di lettura fuori dal coro a generazioni di studenti, politici e analisti. E’ apprezzata docente universitaria a Sassari e alla Cattolica nonché Direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche, Scienze della Comunicazione e Ingegneria dell’Informazione del capoluogo Turritano. Chiunque voglia parlare di turismo non può prescindere dal suo “Modelli di Turismo in Sardegna”, testo ancora attualissimo, sulle evoluzioni e contraddizioni di un (non) modello di sviluppo. Sociologa dell’ambiente e del territorio spazia, mantenendo un ferreo rigore scientifico, su tutti i temi della socialità, con incursioni puntuali ed attente verso il turismo e le nuove forme di fruizione del territorio.

Domanda 1

Professoressa Mazzette, il turismo è un fenomeno recente che nella nostra isola non supera il mezzo secolo; non si può non notare come l’impatto urbanistico su alcuni territori sia rimarchevole, mentre l’impatto sul PIL è da molti da anni ancorato intorno ad un misero 6%. Possiamo dire che il turismo ha cambiato di molto il territorio, ma ha inciso pochissimo sui processi socio-economici dei sardi?

R: Il turismo in Sardegna nasce quasi contemporaneamente al resto d’Italia. Mi riferisco a quello che ben presto diventerà turismo di massa. Naturalmente si tratta, almenoin origine, di un turismo localizzato in ben precisi territori e città, per lo più dotati di “porte d’entrata” quali porti e/o aeroporti. Si pensi ai primi voli charter sul finire degli anni ’50 che dal nord Europa e dalla Gran Bretagna sono atterrati ad Alghero. Il turismo ha prodotto una profonda trasformazione della Sardegna in termini sociali e territoriali. In un caso, si è assistito alla frantumazione delle comunità originarie, processo che ha coinvolto persino luoghi a forte vocazione turistica e maturi sotto il profilo urbano: un esempio significativo è il centro storico di Alghero che ha visto una progressiva riduzione dei nativi e dell’economia tradizionale (fatta di botteghe, attività artigianali, servizi ai residenti, etc.), a favore di popolazioni provvisorie ed erranti, quali sono quelle turistiche. Nell’altro caso, i cambiamenti territoriali sono dovuti alla costruzione di strutture ricettive, di villaggi aperti pochi mesi all’anno e soprattutto di seconde case, il cui numero continua a sfuggire a tutte le rilevazioni ufficiali anche per un diffuso fenomeno di abusivismo: secondo una stima approssimativa dovrebbero essere almeno 500 mila. Numero significativo se lo si raffronta a quello della popolazione sarda che da oltre un decennio continua ad essere poco più di 1.600 mila persone. Il che significa che il turismo ha inciso sull’isola in modo ben più massiccio di qualunque altro settore economico, compresa l’industria di base. Pertanto, il turismo ha cambiato il territorio e con esso anche i comportamenti socio-culturali. In merito ai cambiamenti economici – che comunque sono stati profondi -, mi limito solo alla considerazione che per molto tempo il turismo è apparso, per così dire, alla portata di tutti: chiunque poteva diventare un operatore turistico. Il che è equivalso a tanto spontaneismo e improvvisazione che, ahimè, ancora oggi in troppi casi persiste.

Domanda 2

Vedendo dal suo osservatorio privilegiato i macro-cambiamenti socio-economici degli ultimi decenni e valutando le prospettive dei prossimi lustri – alla luce del fatto che pare acclarato il fatto che non ci sarà un futuro industriale per l’isola e che agricoltura e allevamento stentano senza il sostegno della PAC – crede che il turismo possa davvero rappresentare “la” risorsa fondamentale dei sardi per uscire dal circolo vizioso della disoccupazione e del sottosviluppo?

R: Non sono un’economista, ma le monoculture economiche non funzionano quasi mai. La Sardegna peraltro ha pagato un prezzo elevato per la c.d. monocultura industriale che non può essere sostituita da un’altra monocultura, quale potrebbe essere quella turistica.A mio avviso, senza altri settori trainanti(penso al settore dell’ICT) neppure il turismo ha un futuro solido. Inoltre, un turismo come unica risorsa di lavoro e di profitto rischierebbe di trasformare l’Isola in una regione “usa e getta”, se si pensa al fatto che il turismo è uno dei settori economici più provvisori e instabili giacchéè connesso alle tendenze del momento. L’agricoltura può diventare il futuro solido della Sardegna: basti pensare che il cibo sarà la vera emergenza del XXI secolo, così come già lo sono le unicità ambientali che hanno una ricaduta economica di rilievo in molte parti del mondo. Cibo di qualità e ambiente altrettanto di qualità dovrebbero essere parte integrante del sistema turistico in modo organico e diffuso. Naturalmente perché questo legame si possa realizzare sono necessarie competenze, professionalità e innovazione tecnologica. La disoccupazione diminuisce se cresce la conoscenza, e questo ci porta alla vera emergenza della Sardegna. Siamo dell’Europa uno dei territori meno acculturati in termini di laureati e di alta formazione.

Domanda 3

Il turismo è un tipo di consumo moderno molto speciale che nella sua complessità e nelle sue differenti articolazioni “consuma” anche risorse ambientali che non si rigenerano facilmente o lo fanno con tempi molto lunghi. Questo consumatore sempre più esigente e pieno di sfaccettature, è perciò da un lato una splendida opportunità per il valore aggiunto che trasferisce ai territori ma, al tempo stesso, rappresenta una potenziale minaccia. La Sardegna, a seconda di quale delle due ispirazioni diventi prevalente, ondeggia tra Piani super-conservatori ed approcci iper-liberisti.
Neppure su temi così importanti per la costruzione di modelli di sviluppo, si arriverà mai a fare sintesi, a condividere percorsi e a dedicare adeguate risorse economiche?

R: Il turismo per definizione è consumo di risorse (a partire da quelle territoriali), di tempo, di mobilità, etc. In un recente passato si è trattato di consumo indiscriminato,mentre ora si parla sempre di più di consumo responsabile ed etico. La Sardegna ha consumato fin troppo territorio, se rapportata alla reale domanda sociale,e ciò è avvenuto prevalentemente senza regole. Oggi non possiamo più fare a meno di regole certe per poter governare i processi di consumo e limitare le distorsioni del turismo, quali sono le logiche speculative che lo hanno accompagnato. Ciò nonostante abbiamo ancora molte risorse ambientali di cui fare buon uso anche dal punto di vista turistico. Il problema non è essere super-conservatori o iper-liberisti. É un’opposizione poco proficua. La questione è quale idea di futuro riusciamo a costruire anche sotto il profilo turistico. E pensare al futuro significa necessariamente fare un uso oculato delle risorse materiali, di qualunque natura esse siano.

Domanda 4

Dopo il principe Aga Khan negli anni ’60, pare che alcune opzioni strategiche dello sviluppo turistico potranno essere affidate ai Qatarini. E’ la mancata costruzione di una cultura turistica diffusa e condivisa che porta la Sardegna faticare così tanto nello sviluppo di modelli propri?

R: Com’è noto, il principe benefattore non esiste. Esistono invece interessi, investimenti e capacità imprenditoriali. Gli imprenditori sardi, solo per limitarci a noi, mi sembra che rischino poco e fatichino a raccordarsi tra di loro. Uno dei nostri limiti appare quello di avereun’inadeguata cultura di impresa. A mio avviso, perciò, non si tratta di mancata cultura turistica diffusa, bensì, di scarsa cultura di impresa. Ma anche questa non si inventa e non si improvvisa, soprattutto in assenza di una cornice programmatoria e di linee di sviluppo di lungo respiro.

Domanda 5

Se è vero, come lei ha sostenuto in numerose occasioni, che il turismo ha avuto un ruolo centrale per facilitare i processi di modernizzazione della Sardegna, è altrettanto vero che in molti casi ha rappresentato anche una grande illusione. Uno dei risvolti socio-culturali è stato che gli impieghi stagionali hanno dissuaso i giovani dal proseguire gli studi contribuendo ad aumentare i tassi di abbandono scolastico e tenuto molto bassa la percentuale di laureati, specie nell’area del nord-est. Un cortocircuito pericolosissimo, cosa è mancato?

R: Si tratta sempre dello stesso problema: il turismo è uno dei settori economici più complicati che abbisogna, perché funzioni, di competenze, professionalità, conoscenza delle lingue, modalità comunicative efficacianche per gestire un B&B. Nel senso comune, invece, è apparso come la possibilità per chiunque di trovare un modo per sopravvivere, quando non di speculare. In una ricerca sui giovani conclusa nel 2010 dal Centro Studi Urbani per conto dell’Amministrazione comunale di Olbia, è emerso con chiarezza come un capitale umano poco qualificato e professionalmente non motivato fosse l’anello debole di quel territorio, e ciò coinvolge necessariamente anche il turismo. Eppure si tratta di una delle aree della Sardegna più avanzate sotto il profilo turistico. Bisogna tenere presente che il turismo è un settore immediatamente collegato alla c.d. economia della conoscenza, perché quando si parla di ‘produzione’ oggi non si intende soltanto la produzione materiale, o almeno non esclusivamente, ma si estende concettualmente a tutti quei prodotti e servizi avanzati (compresi i servizi specializzati per le imprese) che hanno una natura immateriale e che sono il risultato di un alto contenuto innovativo, di sperimentazione, di creatività, di buona qualità dei prodotti, oltre che di un ambiente urbano accogliente e qualificatoQuesto cambiamento ha a che fare con la dislocazione industriale, la rivoluzione microelettronica applicata ai diversi processi produttivi, gli avanzamenti della ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica. Da qui derivano anche la capacità di costruire e controllare i nodi di reti globali, la crescita di investimenti, gli scambi internazionali.Allo stato attuale sono questi i contenuti che caratterizzano il turismo contemporaneo nel mondo. Dove non ci sono queste condizioni, si costruiscono recinti dove segregare in modo confortevole i turisti, fuori dai quali c’è una diffusa e pericolosa povertà. Penso ai c.d. paradisi balneari come l’Egitto, per limitarci solo a un esempio.

Domanda 6

La Costa Smeralda è rimasta per molti anni un corpo estraneo alla cultura Sarda. Molti e tra questi numerosi politici di rilievo, l’hanno considerata una sorta di repubblica indipendente, avulsa e diversa dalla “vera Sardegna”. Di volta in volta è stata etichettata come un modello sbagliato, un mostro da abbattere, un’isola felice, l’ennesima colonia straniera in terra sarda, ma anche il modello a cui tendere, un brand internazionale preziosissimo, una grande scuola di turismo. Qual è la sua posizione?

R: É un pezzo della nostra storia recente che è servito a collocare la Sardegna sulla scena internazionale degli anni ’60, ma ora mi appare un modello superato. Con ciò non voglio sostenere che possiamo fare a meno del modello “Costa Smeralda” – continua ad esserci una domanda sociale, seppure di nicchia, di quel tipo di turismo c.d. di élite -, ma certamente non può più essere un modello di riferimento come è avvenuto nel passato. La Sardegna ormai ha gli strumenti e la consapevolezza che è possibile costruire e utilizzare ben altro.Basti pensare a ciò che di può fare con i giganti di Mont’ePrama. In questa scoperta si è aperta la possibilità di riscrivere la storia della Sardegna e del Mediterraneoe che va lasciata agli storici e agli studiosi della materia. Ma la suggestione che suscita questa riscrittura si presta a immagini straordinarie che possono essere utili al turismo. Che cos’è d’altronde il turismo se non la costruzione di una porzione di vita che, seppure provvisoriamente, si colloca nel mondo dell’immaginario? Mi piacerebbe che in ogni luogo turistico ci fosse la possibilità di accedere a percorsi storici virtuali sulla Sardegna, possibilmente tridimensionali, in modo da dare al turista la sensazione di attraversare con la mente e il corpo i millenni di quest’isola. A Vancouver nel suo straordinario waterfrontsono state installate delle strutture architettoniche in cui accedere ed attraversare virtualmente l’arcipelago, dalla montagna al mare, compresi quelli inaccessibiliai più. E nonostante i costi del biglietto siano piuttosto elevati, il lungo tempo di attesa in fila per accedervi sono un chiaro indicatore del successo. La mia impressione è che siamo poco consapevoli delle ricchezze di cui disponiamo e aspettiamo che ad investirvi sia o il pubblico o qualcun altro che venga dal di là del mare.

Domanda 7

Il settore turistico Sardo, evidenzia un chiaro problema di programmazione. Fatichiamo a inquadrare il fenomeno, non abbiamo chiaro dove vogliamo andare e non studiamo a sufficienza le interdipendenze con agroindustria, artigianato, cultura, ambiente. Ci manca da sempre una visione d’insieme. Crede che le nuove generazioni di politici e imprenditori turistici possano acquisirla? E se sì, attraverso quali percorsi formativi?
R: Delle nuove generazioni di politici non parlo perché non le conosco, ma di giovani preparati in Sardegna ce ne sono tanti, anche se le imprese sarde per lo più li ignorano. Certamente pesa il fatto che il nostro sistema imprenditoriale è fatto, per lo più, di attività di piccole dimensioni e a conduzione famigliare. Ma i nostri giovani preparati costituirebbero quel valore aggiunto di cui ha un urgente bisogno l’economia sarda, non solo quella turistica.Invece di fatto li mandiamo via etra questi vi sono molti casi di successo ottenuto altrove non in Sardegna. Questa è una perdita sociale che sta rendendol’Isola sempre più povera. Ciò non significa che non ci siano giovani imprenditori che operano in Sardegna con competenza e professionalità, ma non mi pare che sia un fenomeno diffuso.

Domanda 8
Il prodotto turistico della Sardegna nei cataloghi dei Tour Operators ma anche nei portali dell’e-commerce, continua ad essere con grande prevalenza il mono-prodotto balneare.  Vorremmo che la Sardegna fosse molto più di questo. Non si vedono però politiche di prodotto di lungo periodo alle quali vengano assegnate priorità vere.
E’ una stagionalità soprattutto culturale?
R: Che sia il mare ad attrarre la maggior parte dei turisti non v’è dubbio, ma ciò non toglie che il mare non si possa alleare con altri territori;ci sarebbe un vantaggio per tutta l’Isola in termini di flussi ed estensione della stagione turistica. Ma senza collegamenti efficienti e disponibili nei porti e aeroporti, senza un sistema adeguato di strutture ricettive e di ristorazione, senza la capacità di utilizzare quei giovani di cui trattavo prima (penso soltanto ai laureati in beni culturali, lingue, governance, comunicazione, economia, e così via), come possiamo pensare di allungare la stagione? E ancora, si è fatto davvero di tutto per incuriosire il viaggiatore? Le installazioni di percorsi virtuali di cui dicevo prima, magari connesse a un sistema efficiente di comunicazione, prenotazionee pagamento di ticket per differenziati percorsi, non potrebbero essere collocate in punti strategici, a partire dalle porte di accesso all’Isola?Invece, quando il turista arriva nei porti (penso a Porto Torres) ma anche negli aeroporti si trova o nella totale desolazione, privo della più elementare indicazione, oltre che di collegamenti, oppure con addetti alle informazioni annoiati e distratti.

Domanda 9

C’è stato un tempo nelle analisi dei fattori critici dello sviluppo turistico, nel quale la carenza di strutture turistiche pareva il vero vincolo allo sviluppo. Sembrava vitale finanziare la costruzione di sempre nuovi alberghi. Guardando la situazione ex post, invece vediamo una distribuzione territoriale della capacità ricettiva piuttosto disomogenea e, per contro, tassi di occupazione di queste strutture ricettive incredibilmente bassi.  Era sbagliata l’analisi, è mancata un accorta pianificazione territoriale o non sappiamo vendere i nostri prodotti?

R: Rispetto al passato recente le tipologie di turismo e di turisti si sono diversificate, così come si sono diversificati i tempi e le domande. Ciò significa che anche le strutture ricettive devono diversificarsi. Ad esempio, cosa offriamo ai giovani e agli anziani? Sono tipologie di turisti che esprimono capacità di accesso diverse. I primi generalmente si organizzano il viaggio in modo individuale e spesso all’insegna del risparmio. I secondi hanno bisogno di un sistema organizzato ed efficiente. In Sardegna si dà ancora poca importanza al turismo giovanile e a quello sociale,eppure garantirebbero una continuità. I giovani, anche se per ragioni di età sono portati a cambiare meta, quando saranno meno giovani e magari con famiglia, se conserveranno un buon ricordo della Sardegna, sono portati a ritornare: sono l’investimento per il futuro. Conosco personalmente molti di questi casi. Il turismo sociale è invece rivolto agli anziani e alle persone che hanno bisogno di assistenza che, come è noto, sono in crescita. Rispetto a queste categorie di persone, quanta attenzione il settore turisticoe le amministrazioni comunali dedicano normalmente? Penso alla mobilità e all’accessibilità in primis. Ad esempio, quante passerelle ci sono nelle nostre spiagge per garantire anche alle persone in difficoltà di arrivare fino al mare in modo agevole? Ben poche. Sono appena tornata dal Canada e non ho trovato nessun luogo (che fosse turistico o meno) senza accessi facilitati per le persone in difficoltà, dagli autobus in città ai musei,alle montagne. E per queste persone non potrebbero forse essere utili tutti quei giovani che hanno maturato diversificate competenze, dall’assistenza all’animazione, fino all’accompagnamento? Il turismo, da settore complesso qual è, ha bisogno anzituttodi una visone complessiva, quindi di programmazione.Inoltre, ha bisogno di investimenti in infrastrutture e in servizi altamente qualificati. Cultura politica e cultura imprenditoriale vanno perciò di pari passo.

Domanda 10

Lei ha ripetuto in molte occasioni che la bellezza continua ad essere la ragione centrale del turismo. Ma i nostri paesi sono mediamente bruttini, le risorse archeologiche in gran parte abbandonate, le spiagge esempi mirabili di incuria, il mare una terra di nessuno ove tutto è permesso, gli uffici turistici chiusi di domenica…. Invece “La grande bellezza” potrebbe essere il film che la Sardegna del futuro potrebbe girare.  Da dove cominciamo?

R: Incominciamo dai luoghi che frequentiamo quotidianamente, a partire dalle scuole primarie. Come possiamo far cogliere la bellezza a un bambino se studia in un’aula cadente con attorno spazi aperti pieni di erbacce, se attraversa strade sporche, se i muri delle loro città o dei paesi sono in balia del vandalo di turno? La bellezza non è un fatto eccezionale da offrire allo sguardo del turista. Dovrebbe far parte della nostra quotidianità. La bellezza non è ammirazione ed estasi, ma è cura e attenzione della vita ordinaria. E in questo senso è educativa. Si provi a circondare un bambino di cose belle, si può starcerti che quel bambino da grande avrà cura e attenzione per il mondo che lo circonda. Il degrado comporta degrado, così come la bellezza conduce ad altra bellezza. Per dirla con il matematico Paul Dirac, la bellezza va intesa come metodo.

I nostri paesi un tempo erano poveri ma decorosi, davanti ad ogni porta c’era una pianta o un fiore, qualunque fosse la condizione sociale dell’abitante. Ora sono brutti perché le generazioni degli ultimi 50 anni hanno preso il virus della “cementite”, in nome di una fraintesa idea di modernità e di benessere. Basti pensare a tutti quei palazzotti costruiti freneticamente dagli anni ’70 in poi, senza alcuna attenzione alla forma e al rispetto della cultura tradizionale, molti dei quali mai completati e ora abbandonati. Ma sono brutti soprattutto perché si è persa l’abitudine di pensare agli spazi pubblici. Sono soprattutto questi che rendono un insediamento urbano bello o brutto. Non solo dal punto di vista dell’organizzazione degli spazi, ma anche sotto il profilo della relazionalità e delle pratiche sociali.

Domanda 11

Una grande soddisfazione nell’analisi della trasformazione della società sarda è quella di vedere le seconde e terze generazioni di imprenditori sardi che cominciano ad affermarsi e a costruire aziende di successo.
Anche se gli istituti alberghieri sono ancora prevalenti rispetto ai master di specializzazione post lauream su temi turistici, è vero che non siamo più solo camerieri?

R: In buona misura sì. C’è una Sardegna delle eccezioni, per usare il titolo di un libro di Giacomo Mameli, che può essere ben più diffusa di quanto non lo sia ora. Ma se si va a vedere chi sono questi imprenditori eccellenti, qualunque sia il settore, tutti hanno in comune alcune caratteristiche: sono preparati, hanno un’idea del futuro e si sono messi in gioco rischiando le loro risorse. Aggiungo: nella maggior parte delle volte si tratta di donne.

Domanda 12

Un consiglio per chi ha vent’anni e vorrebbe capire se l’università possa essere la scelta giusta per il suo futuro?

R: L’università è da considerare un percorso obbligato, se si vuole migliorare la propria condizione di vita. Sbaglia chi pensa che studiare non serva: tutti gli indicatori ci dicono il contrario. L’unico consiglio che posso dare, per quel che vale, è che ognuno cerchi di fare quel che più lo appassiona e lo incuriosisce. Il resto viene da sé.

Grazie alla Professoressa Mazzette per la sua disponibilità e per la chiarezza delle risposte.

L. Murru per il LAb Turismo

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