Turismi da incubo #12: stagionalità (2)

STAGIONALITA’ (2)
Un amico fraterno mi tira facebookamente le orecchie. Non gli è piaciuto l’ultimo post sui temi della stagionalità (link) . “Ne hai dato una dimensione prosaica che fa sorridere, ma non affronta in modo analitico i nodi critici “, scrive.
Fosse facile, gli ho risposto, è che a volte bisogna anche cercare di alleggerire temi troppo tecnici che rischiano altrimenti di diventare noiosi. Ma provo comunque a recuperare l’aplomb richiesto.

Ci sono tanti modi per affrontare il tema della stagionalità, ne scelgo due (spero) a basso tasso di banalità.
Il primo è quello di analizzare i modelli di business virtuosi.
Quelli che si sono evoluti considerando la stagione turistica corta come un vincolo di sistema e che si sono perfettamente adattati.
Sono organizzazioni turistiche che cercano di cogliere ed ottimizzare le opportunità quando la domanda è consistente e, provano a minimizzare i costi, nei periodi di domanda fiacca.
Parlo di tutte quelle attività ricettive e operative stagionali che vanno in letargo in bassa stagione per rispuntare magicamente in primavera (come molti hotel della Starwood, ad esempio), ma anche di quelle che hanno saputo integrare estate e inverno, sviluppando anche turismo interno (come Su Gologone, per intenderci).
Modelli a volte criticati, che hanno saputo fare di necessità virtù, spesso costretti a sposare questa strategia obbligata per garantirsi adeguati equilibri economici.
Ma quali sono i fattori di successo che possiamo identificare? Il tema è ovviamente molto più complesso di come lo si possa descrivere così brevemente.
Possiamo però leggere almeno 3 fili conduttori:
1. attenzione estrema alla soddisfazione del cliente; 2. coerenza e continuità nella scelta di privilegiare la qualità delle strutture e delle risorse; 3. etica e rigore nella conduzione del business.

Non ci sono soluzioni facili per problemi complessi, perciò – a questo livello di analisi – le uniche riflessioni utili da rilevare sono che:
la destagionalizzazione è certamente un obiettivo prioritario ancorché molto arduo ; vi sono tuttavia realtà che si sono adattate perfettamente e hanno modelli di business di successo che “usano” la stagionalità per produrre reddito, occupazione e in generale ricchezza per i territori.

Capire questo primo passaggio è fondamentale per studiare come fare impresa in condizioni ambientali difficili, spesso critiche, e sviluppare iniziative – nuove e vecchie – trovando strategie di sopravvivenza e sviluppo coerenti.

Il secondo ragionamento sulla stagionalità è da farsi sul terreno della analisi competitiva.
Essendo evidente a tutti che la stagionalità non è un male estirpabile in tempi brevi e che saranno necessari interventi complessi, lunghi, costosi e controversi per attenuarla, ne consegue che accanto ad una strategia di destagionalizzazione deve essere sviluppata – in parallelo – una strategia di traslazione.
Cioè, se nel breve periodo non è facile invertire l’andamento della curva di domanda, si rende necessario dedicare il massimo degli sforzi almeno per innalzarla di livello.
Mi spiego con un esempio. Le Baleari hanno una latitudine identica a quella della Sardegna, ma da ottobre a marzo, nei 6 mesi che noi consideriamo bassa stagione, registrano sui 3 aeroporti quasi 7 milioni di traffico passeggeri.
Guarda caso, 7 milioni di passeggeri sono grossomodo quelli che la Sardegna sviluppa in 12 mesi con i suoi 3 aeroporti.
E non si può dire che anche loro non abbiano un problema di stagionalità: tra giugno e settembre ospitano il 60% del traffico annuale.
Ma sono riusciti a traslare verso l’alto la curva di domanda portando la stagionalità su numeri interessantissimi anche nella cosiddetta bassa stagione.
E con quei numeri diventa facile far funzionare gran parte delle strutture turistiche per 12 mesi.
Come? Intercettando porzioni della succulenta torta turistica – diverse da quelle sun-driven – e supportandole con strategie di prodotto dedicate.
Cioè studiando con attenzione i fattori chiave della variabile “soddisfazione turistica”, possibilmente non attraverso sondaggi fatti d’estate in Sardegna. Bisogna fare le indagini sui competitors, privilegiando i periodi fuori stagione. Bisogna capire perchè sono più attrattivi di noi e quali sono le calamite che li attraggono.
Ad esempio, la spagna ha identificato lo Shopping come attrattore. Ed ha sviluppato un piano specifico denominato “Plan de Turismo de Compras”.

Ci possiamo perciò permetter di abbattere almeno 3 miti sulla stagionalità:
1. La Sardegna ad agosto è al collasso e supera la sua capacità di assorbimento di flussi turistici.
Falso.
Le Baleari, un territorio quasi 5 volte più piccolo sviluppa quasi 5 volte il traffico aereo della Sardegna.
Quindi possiamo ancora crescere tanto, anche in alta stagione.
2. La Sardegna non può crescere in bassa stagione perché le temperature si abbassano troppo e non siamo competitivi con Canarie, Mar Rosso e destinazioni tropicali.
Falso.
Le Baleari già lo fanno. A gennaio e febbraio fanno il doppio dei nostri passeggeri, a marzo il triplo.

3. Sul turismo sappiamo già tutto.
Falso.
Sul turismo sappiamo molto poco. Dobbiamo cominciare a studiare i modelli dei competitors, comprenderli e ove possibile prendere gli elementi che si possano adattare alle nostre realtà. E’ un processo lungo ma più tardi lo cominciamo e più lungo sarà il percorso, perchè i nostri concorrenti corrono mentre noi camminiamo piano .

Insomma mi viene da concludere che la vera natura della stagionalità sia quella di essere soprattutto un isola deserta, oramai fuori dalle carte nautiche, dimenticata nella testa di molti sedicenti gestori della cosa pubblica.

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