Turismi da incubo #20: accessibilità

Addomesticami, disse la volpe”.

La parola Ryanair è nel marketing giornalistico una grande e inesauribile cash cow, che se non fosse perché la disciplina è maledettamente americanofona, chiameremmo, visto il nostro legame affettivo con gli ovini (che per fortuna non raggiunge quello del ben noto Gavino celebrato da Piero Marras), pecora da mungere.
Comunque la pensiate, il low cost rappresenta giornalisticamente uno di quei super-hit riempi pista, un titolo a sei colonne benedetto, un trenino evergreen al quale si agganciano cani, porci, nani, ballerine, statisti d’avanguardia ed economisti dello spuntino.
Tutti pronti a sparare ad alzo zero contro chi minacci di sottrargli il sedicente miracoloso farmaco anti-isolamento – prescrivibile nel recente passato anche senza ricetta Europea – sebbene fosse evidente che creava una temibile dipendenza psicologica assimilabile alla sindrome di Stoccolma.
La responsabilità di questo progressivo distacco della respirazione forzata a cui è sottoposto il gravissimo paziente è sempre altrove: nuova giunta, vecchia giunta, nuovo assessore, vecchio assessore, nuovo management, vecchio management, nuovo governo, vecchio governo.
Del resto anche Massimo Catalano l’avrebbe probabilmente spiegata così: molto meglio viaggiare a due lire verso molte destinazioni, che avere poche rotte disponibili e per giunta a caro prezzo.

Non va negato che la telenovela appare avvincente più dell’Isola dei famosi e di Chi l’ha visto ( il turista). Aperture, spiragli e trattative serrate, si alternano a disastri, tragedie e crisi epocali di territori ieri ridenti e oggi allo stremo, nel vano tentativo di riscaldare minestre oramai iper-allungate oltre ogni Cracchiana sopportazione. La grande drammaturgia dello sbadiglio officiata dalla carta stampata, propina con sapienza momenti di solenne condanna a giornate di speranza sino a momenti di vero tripudio. È bello ricordare momenti topici, come quando il grosso volatile irlandese fu celebrato come un investitore illuminato, pronto ad investire in Sardegna ben 270 milioni di euro “in vista di un interessante incremento di traffico per il 2019”.
Duecento-settanta-milioni-di-euro di nuovi aeromobili tutti per noi. Ebbene si, a quel tempo l’inflessibile O’Leary ci amava. Anche uno studente del primo anno di Economia avrebbe capito che si trattava più di una furbissima azione di comunicazione, che di un vero e proprio investimento dedicato alla Sardegna; si trattava infatti di un particolare tipo di investimento detto di “sostituzione” e non di un investimento strategico progettato per l’Isola.
Ma la notizia era ghiottissima e riempiva i cuori e massmedia. Era bello sognare il gigante dei cieli, accorrere forzuto e soprattutto disinteressato, a salvare la piccola e spaurita cenerentola del turismo.
Poi è venuto fuori che il ramo sardo dell’industria iper-low-cost funzionava dal 2000 solo in virtù di qualche aiutino finanziario. Qualcuno ha fatto finta di nulla, altri hanno detto che era inevitabile, altri hanno visto, sgomenti, la carrozza trasformarsi in zucca.
I più malfidati hanno ripensato alla lontana ma curiosa similitudine con agli anni bui vissuti ai tempi delle monoculture industriali. Quando i sedicenti imprenditori vestiti da salvatori della patria arrivavano a frotte per “usare” il Piano di Rinascita come uno scendiletto per avere cospicue sovvenzioni a fondo perduto e, in molti casi, da lì fiondarsi dritti dritti alle ammiccanti aree fabbricabili delle coste sarde.

E comunque, gli Irlandesi hanno ragione. Hanno proposto il loro modello di business e trovato qualcuno pronto a comprarlo. Quando l’interlocutore ha smesso di pagarlo hanno smesso di fornirlo. Ora lo venderanno in Puglia o in Sicilia o in Spagna o in Danimarca. Non hanno legami affettivi. E’ solo business. Come tutte le imprese (quasi tutte) se non ravvisano una sostenibilità economica correggono il tiro, cercano nuovi clienti.
Ora siamo noi che dobbiamo trovare nuovi interlocutori. Infatti, l’unica certezza positiva è che Ryanair non è insostituibile.


T
uttavia, al di là del soggetto che trasporterà passeggeri da e per il continente europeo, il tema vero è: siamo sicuri che sia davvero l’accessibilità la vera criticità per lo sviluppo turistico?
Cioè, se il problema nodale del sistema turistico fosse davvero di accessibilità, perché d’estate abbiamo più destinazioni point to point di aeroporti molto più blasonati e ad ottobre un crollo verticale di domanda (e di accessibilità)?
La numerosità dei collegamenti su un isola è una variabile dipendente rispetto alla forza della domanda turistica. Non può essere forzata rispetto alle dinamiche di tale domanda. O almeno ciò – come parrebbe dimostrare la vicenda Ryanair – non può essere fatto all’infinito, con procedure poco rispettose della trasparenza e rischiando di discriminare altri vettori.

Se i prodotti turistici non sono in grado di essere competitivi per 12 mesi, il problema non è l’accessibilità.
Se non abbiamo attivato processi virtuosi di fidelizzazione, il problema non è l’accessibilità.

Addomesticami, disse la volpe. Cosa vuol dire addomesticare….È una cosa molto dimenticata, vuol dire creare dei legami. “(Il piccolo principe – Saint Exupery).

Creare legami. Da un rapido calcolo, negli ultimi 15 anni sono arrivati in Sardegna davvero tanti turisti, diciamo qualcosa come 35-45 milioni di individui.
Non avendo dati ufficiali, ma usando un sondaggio del 2015 su un campione di 3000 rispondenti, che per semplicità supponiamo si possa estendere a tutta la Sardegna, i fidelizzati, cioè quelli ripetitivi sono stati circa il 30%.
Immaginando in assenza di evidenze statistiche certe, che questa possa essere una ipotesi da estendere a tutta la popolazione turistica di questi ultimi 15 anni, sarebbero quindi tra 25 e 30 milioni pertanto quelli “infedeli”, che hanno poi cambiato destinazione.

Non li abbiamo convinti.
Non siamo stati bravi a vendere il nostro prodotto.
Non siamo stati sufficientemente attrattivi.

non gli abbiamo fatto venir voglia di tornare.
Non siamo riusciti a fidelizzarli, cioè ad addomesticarli, cioè a creare dei legami.
Il processo di fidelizzazione è una delle strade più efficaci, affinché si creino relazioni durature, affinché venire in Sardegna sia un piacere dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista umano. Affinché si possa desiderare di ritornare.
Capirlo significa orientarsi verso un cambiamento culturale di tipo radicale. Non una riforma del sistema dell’accoglienza ma la riscrittura radicale del sistema di customer service e di customer relashionship management.
Senza guardare troppo a cause esogene, interroghiamoci su quanto facciamo noi operatori turistici, amministratori locali, ma anche filiere culturali, dell’agroindustria e dell’artigianato per lasciare nell’esperienza del nostro ospite il ricordo di un sistema accogliente e ben disposto ad aprirsi al turista.

Non scuotete la testa sconsolati, vediamola in positivo e diciamoci che abbiamo grandi opportunità di miglioramento.
Forse da qui dobbiamo provare a ripartire.

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